Il Fotografo Salvatore Esposito nella pubblicazione a cura di Paola Galante e Maria Lucia di Costanzo, docenti della Facoltà di Architettura di Napoli, tratta il tema della periferia Ovest di Napoli.
PREMESSA. Nel novembre 2008 Paul Virilio e Raymond Depardon inaugurano alla Fondation Cartier pour l ́art contemporain di Parigi una mostra dal titolo: Terre natale. Ailleurs commen- ce ici1. Le istallazioni, le video interviste, le gigantogra e illustravano una comunità umana in movimento e ne documentavano le cause: guerre, cambiamenti climatici, crisi economiche riunendole in una unica dicitura: catastro contemporanee. Dieci anni fa il fenomeno era già di tale portata da consentire una ridefinizione delle categorie dei sedentari e dei nomadi: per Virilio sedentario era colui che, grazie a dispositivi tecnologici, pur viaggiando, era “sempre a casa”; nomade colui che, con nato in spazi di detenzione, in riserve protette o nei con ni invisibili della città informale, non si sarebbe sentito mai a casa2. Il nocciolo della questione era il sentimento di radicamento dell’uomo al luogo di appartenenza che la condizione con- temporanea comprometteva inesorabilmente. Tra le ripercussioni del fenomeno si precisava la mutazione del concetto di città da luogo di elezione a luogo di espulsione. Capace di introiettare nelle sue viscere porzioni di umanità senza per questo accoglierle. Si palesava nella mostra, il paradosso della città/metropoli contemporanea che non rappresenta chi ci vive ma celebra i valori di chi, viaggiando, non la abita. L’ineluttabilità di questa condizione è stata a rontata nell’ultimo decennio in diversi ambiti disciplinari ma, solo più recentemente, convegni internazionali e mostre di settore hanno ricondotto la questione nel dibattito che riguarda il progetto di architettura3. Comprendere quanto il luogo natio permei la personalità di ciascuno, anche nel modo di strutturare relazioni, può signi care mettere in discussione un modus operandi consolidato.
La consapevolezza circa la natura dei fenomeni in corso, se da un lato appaga la nostra ragione, dall’altro svela le nostre paure generando una impasse nella quale le ragioni del progetto devono essere rifondate.
Radicamento al paesaggio come condizione indispensabile per uno spazio abitabile rappresenta quanto, parte la cultura del secolo scorso ci ha insegnato e trasmesso. Ma per una civiltà nomade qual è il paesaggio in cui radicarsi? Le situazioni dove le contraddizioni della contemporaneità emergono con tratti distintivi più forti mostrano quanto questa nuova fondazione possa essere proli ca per il progetto di architettura che, spogliato dalla pesantezza delle consuetudini, può ritrovare vigore anche recuperando la dimensione etica4.
UN LIBRO SFERICO. Come in un libro sferico, di quelli immaginati da Sergej M. Ejzenštejn, questo volume raccoglie le premesse, i contributi teorici e sperimentali prodotti nell’ambito del 17mo seminario internazionale itinerante di progettazione Villard, svolto nel corso dell’an- no accademico 2015-2016. Il tema, in continuazione con il seminario Villard 16 “territori strategici, antichi sbarchi e nuove mete di libertà” – a ronta le trasformazioni degli spazi urbani e dei caratteri rappresentativi delle grandi città indotte da una ormai acquisita, di usa multiculturalità.
Il testo non si presta tanto o solo ad una lettura lineare. Gli apporti eterogenei sollecitano continui rimandi e creano i presupposti per sempre nuove letture in cui il punto di vista stenta a trovare un centro di gravità.
Attraverso le tre sezioni del volume si vuole: restituire il composito background che ha costru- ito una inedita chiave di lettura del tema – interpretazioni -; raccogliere i casi studio illustrati nel corso dell’anno attraverso cui è stato possibile declinare le questioni a erenti al tema più generale – sguardi; ragionare sulle metodologie adoperate nei progetti degli studenti delle singole scuole in quanto contributo ad una rivisitazione del tema di ricerca – sperimentazioni.
IL VIAGGIO Colonna sonora della lettura è costituita dal Viaggio vissuto insieme da docenti e studenti, cadenzato dalle tappe (Napoli, Parigi, Milano, Palermo, Napoli) e nutrito dalle visite guidate e dai contributi curati dai coordinatori d’anno (Pagano, Salerno, Gritti, Sarro). Viaggio che come in nessuna edizione precedente del Seminario Villard ha legato il tema di ricerca ad episodi di cronaca che hanno inevitabilmente invaso il dibattito in corso, ribaden- done l’attualità.
La sera del 13 novembre 2015, mentre era in corso il convegno inaugurale del seminario, gli attacchi terroristici a Parigi, hanno turbato il sonno e i sogni di un’Europa intera e, tra tutti, dei venti studenti parigini ospiti a Napoli. Isolati dalla loro Nazione, silenziosi ed ancora increduli, compatti, il gruppo dei ragazzi francesi ha partecipato il giorno seguente alla visita guidata in programma, Napoli Migranda, organizzata dalla operativa CASBA (FUSCA), nei luoghi del centro storico napoletano, abitati dalle comunità islamiche. La visita allo spazio di preghiera, tutti scalzi e donne a capo coperto, si è connotata di un faticosissimo dialogo con un imbarazzato imam che ha definitivamente de agrato il velo super ciale del buonismo e della tolleranza scoprendo paure, indisponibilità, avversioni.
Proprio da Parigi nei mesi seguenti, il seminario è ripartito con una classe docenti/studenti pronta a mettere in discussione certezze e a cercare nella storia e nei casi studio le proprie ragioni, consapevole che la multiculturalità, certamente di usa ed acquisita nei termini generali di un buon senso da Vecchio Continente, pacificato dopo il con itti mondiali, rappresenta all’atto pratico una entità sfuggente che crea conflitto nel profondo essere homo religious immanente in ciascuno5.
SEMINARIO Villard 17 raccoglie in eredità le consapevolezze maturate nell’ambito della edi- zione precedente del seminario – curata da Adriana Sarro, Rita Simone, Alessandro Villari – di cui condivide le premesse che hanno guidato quella esperienza: non ci si occupa di emergenza, di cronaca, né di attualità, ma si investiga la possibilità di attivare, attraverso processi di rigenerazione urbana, una pratica di quotidianità e costruzione sociale fatta di luoghi, spazi ed eventi in grado di generare anche nuove permanenze ed economie.6 Il semi- nario si allontana dalla linea d’urto costituita dai fronti di prima accoglienza – il caso studio dell’edizione precedente era stata la cittadina di Pozzallo – per indagare il tema della città come rappresentazione delle culture che la abitano. Inedito campo di sperimentazione archi- tettonica è costituito da una Napoli metropolitana che ormai include a pieno titolo i paesaggi urbani eterogenei costruiti storicamente da antichi fenomeni migratori e da più recenti utopie colonialistiche: Napoli, città di fondazione, terra di sbarchi e di continue conquiste, in cui, per ragioni contestualmente geogra che e storiche, hanno convissuto e convivono ancora oggi diverse culture in un – almeno apparente – equilibrio di spazi e consuetudini. Si pensa infatti che all’interno della straordinaria cornice geomorfologica, citazioni, analogie, ibridazioni con altri mondi mediterranei possano costituire un punto di partenza di nuove composizioni ur- bane e architettoniche espressione di una rinnovata cultura dell’abitare (PAGANO). Le aree di studio proposte per le sperimentazioni delle scuole di architettura sul tema del seminario Villard17 si declinano lungo il Viale Giochi del Mediterraneo – tra quella che doveva essere la testa occidentale della Mostra d’Oltremare ed il cancello dell’ex Collegio Costanzo Ciano, struttura di accoglienza e formazione giovanile per decenni detenuta dai militari NATO, restituito recentemente alla città ma non ancora alla libera fruizione dei cittadini – e ne interrogano le specificità taciute ma intuibili dal punto di vista geografico, infrastrutturale, di senso e di significato: l’area nel suo insieme è il relitto di un progetto di centralità urbana, frutto di un sistema di valori che aspirava a celebrare l’espansione politica ed economica di una Italia colonialista (GALANTE). “La Mostra d’Oltremare insieme all’ex Collegio Ciano di Bagnoli testimonia il più grande progetto interrotto di un nuovo centro urbano della Napoli moderna. Appare singolare come oggi la rappresentazione architettonica e paesaggistica dei mondi mediterranei verso cui si indirizzavano le mire imperialiste del regime si riproponga come un mondo archeologico “moderno” da riscoprire, rappresentativo di una tradizione mi- grante da sempre connaturata allo spirito partenopeo. Il ponte virtuale verso un Oltremare da conquistare è stato realmente percorso in senso inverso dai migranti. Il singolare parco della Mostra con le sue architetture, originali sperimentazioni di un “moderno eclettico”, sembra esplicitare la tesi della “migrazione come eterna categoria della modernità”. (PAGANO)
CONTRIBUTI L’apporto multidisciplinare di docenti a erenti a diversi saperi scienti ci, documentato dai contributi presenti in questo volume, testimonia l’atteggiamento con cui i responsabili del Seminario hanno inteso impostare la ricerca collettiva: in continuità con l’esperienza/esperimento proposta nel gennaio 2015 nell’ambito di Multiculturalità mediterranea: approdi e territori partenopei, tappa napoletana del seminario Villard167 , si opta per un ampliamento dello sguardo sul tema generale, e si costruisce un dibattito, non riconduci- bile ad una sola voce, la cui domanda – latente ma non troppo – è: quale può e deve essere il ruolo del progetto di architettura nell’ambito di una questione – la multiculturalità – che è sentita come viva, presente e tangibile ma insieme scivolosa e sfuggente. Il rischio di semplificare la portata della questione è evidente a tutti, le diverse angolazioni da cui interpretare il tema e gli sguardi raccolti non fanno altro che mettere in discussione le premesse e indurre a cercare le ragioni del fare in profondità senza cedere alla tentazione di trincerarsi in modus operandi consolidati e ripetuti nel tempo ma generati da sistemi di condizioni non più attuali.
Veri care gli strumenti con cui guardiamo le nostre città/territorio, vero laboratorio di interazioni culturali e negoziazioni sociali di una democrazia ancora da venire (CHAMBERS) è un suggerimento/imperativo che invita la comunità di studenti/docenti ad escogitare tecniche di osservazione e racconto che siano capaci di restituire la complessità della metropoli con- temporanea meglio delle piante razionali. E se è vero, come ci ammonivano gli insegnanti dei primi anni della scuola di architettura che solo attraverso un buon rilievo nasce un buon progetto si capisce quanto sia indispensabile attrezzarsi a dovere per cogliere le tracce, altri- menti invisibili, del paradigma indiziario che può condurre ad un progetto, che cogliendo lo spirito del tempo, apra a nuove prospettive di ricerca: raccontare per essere in grado di abi- tare uno spazio nella propria immaginazione senza anticipare opinioni (SERINO). Sradicare le consuetudini anche linguistiche. Attrezzarsi o meglio spogliarsi: dalle analisi formalizzate, dai pregiudizi. Rivolgersi a sguardi meno codi cati – o almeno diversamente formati -. A fronte di una perdita di caratteri riconoscibili come forma urbis la cultura contemporanea ed in particolare l’osservazione fotogra ca è stata in grado di far emergere valori di senso e, attraverso letture trasversali anche e soprattutto là dove i segnali appaiono più ebili, di rin-
novare il racconto della città e la sua continuità attraverso modalità del tutto nuove. Come già dimostrato in altri contesti, l’esperienza dei fotografi e dei cineasti ma anche degli artisti è in tal senso illuminante: le fotografie di ESPOSITO che mostrano l’area studio come un laconico paesaggio di rovine intermittenti, campo magnetico di spazi assolati in cui resistono edifici come giganti senza tempo; i frame di NapolIslam gentilmente concessi da CIOFFI che opera- no una contrazione dello spazio/tempo documentando la presenza sica dell’Islam alla porta accanto, mentre lo immaginavamo distante anni luce; le ra gurazioni dei Campi Flegrei (DI LIELLO) che se pure non oggettive ne hanno costruito l’immaginario mitico insieme al lega- me di appartenenza dei luoghi studiati al mondo, alle forme ed alla luce della mediterraneità (RISPOLI); i disegni di studio di Francesco Cellini per l’area ex italsider di Bagnoli (PUJIA) che promettono scenari oramai in bilico tra il futurismo e l’anacronistico, a testimonianza di un vasto patrimonio progettuale che, sebbene mai messo in opera, costituisce a tutti gli effetti elemento caratterizzante dell’area… tutti questi contributi costruiscono un quadro conoscitivo dell’area oggetto degli studi del seminario che si compone di livelli di lettura di erenti. Stratigra e o erte alla classe Villard, sollecitazioni per guardare oltre le aerofotogrammetrie ed esplorare in profondità un territorio che si dimostra essere storicamente e permanente- mente multiculturale. Luogo di notevole complessità per la presenza di intrecci di culture tracciati dove memoria e mito, paesaggio e archeologia si fondono in un complesso rapporto tra passato e presente (SARRO).
Saranno le malinconiche fotografie di BATTAGLIA a legare una terra così unica e fortemente caratterizzata a realtà – per motivi contingenti – analoghe: attraverso la tecnica della sfoca- tura, il fotografo rappresenta la “nostra” Napoli pur non ritraendola: approdo come tanti, miraggio e insieme gippigiana di un contesto internazionale fatto di oramai irrinunciabili continui spostamenti dove l’arrivo si sovrappone ad una nuova partenza.
È il tema della SOSPENSIONE che caratterizzerà il seminario, permeandolo nel profondo, e di una sempre maggiore consapevolezza circa la transitorietà delle condizioni che faticano a trovare un equilibrio, circa la de nitiva perdita delle certezze – senso di appartenenza, radicamento ad un luogo, sentirsi a casa – che, come in un rinnovato a ato pirandelliano – “Maledetto sia Copernico!” esclamava Mattia Pascal, rivolgendosi a Don Eligio – scuote ciascuno nella sua propria vita concreta compromettendone le azioni. La sospensione genera malinconia. MORELLI spiega con precisione la condizione sentimentale dei nomadi contemporanei, sradicati dai contesti di appartenenza e pesa la difficoltà del nostro proposito di agire progettando una centralità rappresentativa delle diverse culture che abitano una metro- poli. Non si tratta di buoni propositi, ammonisce. Accogliere altre culture significa assumere il punto di vista dell’altro e cambiare punto di vista è doloroso perché tocca le strutture profonde, assumere un altro sguardo è molto impegnativo. Esperienze condotte nel Nord Europa, dove risiede la oramai terza generazione di migranti, mostrano come i processi di inclusione (Assimilazione/Integrazione /multiculturalismo), gestite anche attraverso pratiche di rigenerazione urbana, stentino a produrre risultati che realmente tengano in considerazione i punti di vista di ciascuna cultura, nendo per operare gli interessi delle categorie econo- micamente più forti (BRIATA). Sospensione come categoria che caratterizza l’animo ma che permea anche gli spazi: Sospese, le spazialità emergenti: luoghi di scarto, interstizi, retro dei quartieri u ciali dove le comunità invisibili abitano producendo silenziose trasformazioni che mutano la struttura degli spazi tra le cose restando in bilico tra la leggerezza dell’informale ed l’ambizione a rivendicare la dignità di spazio pubblico (POTENZA). I migranti conducono nelle nostre città una vita latitante, mutilati nella possibilità di autorappresentarsi. Le migrazioni dei nostri tempi difficilmente lasceranno basiliche, teatri o palazzi nobiliari sottolinea PICONE che tuttavia individua nel tema del radicamento, attraverso un rapporto fortissimo con la terra, una permanenza dei caratteri insediativi dell’abitare mediterraneo ed insieme una opportunità di progetto praticabile per affrontare il convitto.
DALISI, forte, di una decennale esperienza maturata nell’ambito di laboratori di progettazione condotti da nelle più povere periferie napoletane così come negli spazi del centro storico napoletano a contatto con i migranti, coinvolge la classe Villard in un spirito positivo ed operativo segnalando la vitalità creativa che le migrazioni posso mettere in moto accrescendo la capacità di stare al mondo. Del resto, una poesia, dolce, del fare permea le costruzioni
realizzate in condizioni estreme dove i fenomeni delle migrazioni sono evidenti in maniera più incisiva o l’alterità dei fruitori richiede risposte progettuali precise. In queste occasioni paradossalmente il progetto è facilitato dall’obbligo ad abbandonare le rassicuranti metodologie e le consolidate tecniche costruttive, ed in una rinnovata dimensione etica è spogliato da inutili sovrastrutture e costretto a porre rinnovata attenzione al luogo, ai materiali ed alle tecniche costruttive. Fare architettura torna ad essere necessità di confrontarsi con il senso e la necessità delle cose, senza cadere in una dimensione estetica separata dalla tecnica (MAGNI, GUIDARINI).
SPERIMENTAZIONI. Le scuole di architettura rispondono al tema proposto con signi – cative esplorazioni progettuali che assumono la multiculturalità come uno status quo (DI COSTANZO). La sospensione come categoria caratterizzante il nostro momento storico non ha paralizzato le proposte ma ha trovato espressione in progetti (la maggior parte) che piuttosto che cristallizzare programmi funzionali hanno lavorato sul sistema di relazione tra le parti. Progetti sfocati9 direbbe Jordi Bellmunt: non sempre nitidi nelle forme ma individuati con precisione nella sostanza delle relazioni che esprimono.
Complice la struttura orogra ca dell’area di progetto assegnata, i progetti si ancorano tra le pieghe delle curve di livello, come a volerne abitare la geografia nei suoi diversi strati e interrogando diverse possibilità del radicamento tanto evocato nel dibattito teorico. Dalle spazialità ipogee rami cate alle torri di riferimento posizionate nei luoghi nodali: i lavori degli studenti reinterpretano l’area ed i suoi progetti mai compiuti, aspirazioni e potenzialità di una realtà urbana che possa essere nuova centralità. I risultati sembrano esprimere due visioni non necessariamente antitetiche. La prima riguarda la possibilità di a ermare nuovi principi gerarchici di relazione tra le parti: come a voler riprendere il progetto urbano incompiuto a scala paesaggistica, si lavora intensamente nei luoghi di frizione e di allentamento del- la ipotesi progettuale, e de nendo quote, ricostruendo margini, precisando ruoli, si vanno a colmare le lacune prodotte dalla interruzione del disegno urbano complessivo che trova nuovo vigore. La seconda riguarda una attitudine più silenziosa che, a partire da indizi più o meno fortuiti, punta a mettere in luce sistemi urbani paralleli a quello visibile esistente, che esprimono inedite possibilità di fruizione e di interpretazione delle aree di studio assegnate, in cui il relitto del progetto moderno assume lo spessore di uno strato geologico, memoria alla cui ombra abitare.
… COME SE nell’impasse creata dalla sempre maggiore consapevolezza circa il mutato (e mutante) sistema di riferimento a orino memorie di un mondo archetipico che, interrogandoci, ci mostra scenari possibili che a loro volta discutono la solidità delle teorie che hanno generato l’impasse… cortocircuiti in cui il progetto si rigenera, ritrovando genuinità.
Paola Galante.